Giugno è appena passato e, come ogni anno, abbiamo assistito ai loghi arcobaleno che spuntano sui social media e nelle vetrine digitali. Ma quante di queste aziende mantengono davvero il loro impegno verso la comunità LGBTQ+ anche a luglio (e durante tutto l’anno)?
Il rainbow washing è diventato uno dei fenomeni di marketing più discussi degli ultimi anni, e quest’anno ha preso una nuova piega: molti brand storici hanno completamente abbandonato i loro tradizionali loghi e capi colorati, preferendo collezioni “beige” che a malapena evocano il Pride.
Questo cambio di rotta potrebbe aver rivelato quanto fosse superficiale l’impegno di molte aziende: appena il clima politico (soprattutto negli US e di riflesso anche in altri paesi) è cambiato, gli arcobaleni sono scomparsi. La paura di esporsi ha mostrato il vero volto del rainbow washing degli anni passati.
A Humans, crediamo che l’inclusività sia un valore fondamentale che viviamo 365 giorni l’anno. Per questo abbiamo deciso di fare chiarezza su questo tema, offrendoti una guida completa per navigare tra autenticità e opportunismo nel marketing inclusivo.
Rainbow washing: definizione e significato
Il rainbow washing (chiamato anche pinkwashing) è quella pratica per cui le aziende adottano simboli e messaggi a supporto della comunità LGBTQ+ senza implementare politiche concrete o impegnarsi realmente per la causa.
Il termine nasce dall’unione di “rainbow” (arcobaleno, simbolo della comunità LGBTQ+) e “washing” (lavaggio), seguendo la stessa logica del più famoso greenwashing ambientale. Si tratta di un marketing superficiale che sfrutta una causa sociale per fini commerciali.
Prova ad immaginare tutte quelle aziende che per tutto il mese di giugno riempiono i loro canali social di contenuti arcobaleno, lanciano una collezione Pride limitata e sponsorizzano eventi LGBTQ+, ma non hanno alcuna politica interna per tutelare i dipendenti queer, non fanno nulla di tangibile per supportare le organizzazioni della comunità e, soprattutto, spariscono completamente nei restanti 11 mesi dell’anno.
Il rainbow washing si manifesta quando c’è una disconnessione totale tra l’immagine pubblica che l’azienda vuole proiettare e le sue azioni concrete. È marketing puro, senza sostanza né continuità.
Come riconoscere il rainbow washing: i segnali da non ignorare
Riconoscere il rainbow washing è più semplice di quanto potresti pensare. Il primo campanello d’allarme sono i loghi arcobaleno solo a giugno: se un’azienda cambia il suo logo in versione rainbow esclusivamente durante il Pride Month per poi tornare alla normalità il 1° luglio, stai probabilmente guardando una strategia puramente opportunistica.
Ma ovviamente questo non è l’unico segnale.
Un altro segnale evidente è l’assenza di politiche interne inclusive. Controlla se l’azienda ha politiche HR che tutelano davvero i dipendenti LGBTQ+. Esistono benefit per le coppie dello stesso sesso? Ci sono programmi di formazione sulla diversità? Se la risposta è no, probabilmente stiamo parlando di rainbow washing.
Ma l’elemento più rilevante rimane l’assenza di azioni concrete nel tempo. Cosa fa l’azienda negli altri 11 mesi dell’anno? Se non c’è traccia di supporto costante, donazioni regolari o iniziative continuative, è molto probabile che si tratti di marketing opportunistico.
Fatti sempre questa domanda: “Se questa azienda non avesse mai comunicato pubblicamente il suo supporto al Pride, riuscirei comunque a capire dai suoi comportamenti che è inclusiva?” Se la risposta è no, potresti aver individuato un caso di rainbow washing.
Qual è la differenza tra rainbow washing e un vero supporto alla comunità LGBTQ+?
La differenza tra rainbow washing e supporto autentico alla comunità LGBTQ+ sta tutta nella sostanza, nella coerenza e nella continuità delle azioni.
Il supporto genuino si riconosce perché è concreto, coerente e presente tutto l’anno. Non è un interruttore che si accende a giugno e si spegne a luglio. Le aziende autenticamente inclusive hanno politiche HR chiare che tutelano tutti i dipendenti, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. Offrono gli stessi benefit alle coppie etero e omosessuali, hanno protocolli anti-discriminazione e creano ambienti di lavoro davvero sicuri.
Il supporto autentico include anche donazioni e sostegno economico continuativo a organizzazioni che lavorano per i diritti LGBTQ+, non solo sponsorizzazioni occasionali di eventi Pride. La diversità nelle campagne pubblicitarie dovrebbe essere una presenza normale durante tutto l’anno, non una rarità limitata al Pride Month.
Al contrario, il pinkwashing si caratterizza per campagne una tantum concentrate solo nel mese di giugno, comunicazione generica che evita di entrare nel merito dei diritti specifici, assenza totale di politiche interne coerenti con i messaggi pubblici e silenzio totale nei restanti mesi dell’anno.
La chiave sta nell’osservare il comportamento a 360 gradi dell’azienda, non solo la sua comunicazione durante il Pride Month.
Perché il rainbow washing è un problema
Il rainbow washing è un problema serio che danneggia sia le aziende che lo praticano sia la comunità LGBTQ+ che dovrebbe supportare.
Per la comunità LGBTQ+, il pinkwashing strumentalizza la lotta per i diritti trasformando questioni profonde di giustizia sociale in semplici opportunità commerciali. Quando un’azienda usa i simboli della comunità solo per vendere prodotti, banalizza una lotta secolare per l’uguaglianza e i diritti civili.
Questo fenomeno crea anche sfiducia verso il supporto aziendale, rendendo più difficile per le persone LGBTQ+ distinguere tra brand genuinamente alleati e quelli che stanno solo facendo business.
Se le aziende possono “apparire inclusive” semplicemente cambiando il logo per un mese, hanno meno incentivi a implementare politiche concrete che davvero migliorino la vita delle persone LGBTQ+.
Quali sono i rischi per le aziende che fanno rainbow washing?
Per i brand, le conseguenze possono essere devastanti. I consumatori di oggi, per fortuna, sono sempre più attenti alle contraddizioni aziendali e quando scoprono il rainbow washing, le loro reazioni possono addirittura danneggiare l’immagine aziendale. Le piattaforme social amplificano velocemente le accuse di ipocrisia, e un hashtag come #RainbowWashing può diventare virale in poche ore.
Una volta che un brand viene percepito come “fake” o opportunistico, ricostruire la fiducia diventa estremamente difficile. I consumatori tendono a ricordare a lungo questi episodi, e in alcuni casi il rainbow washing può anche configurarsi come pubblicità ingannevole con potenziali ripercussioni legali.
Il rainbow washing avviene solo durante il Pride Month?
No, anche se è più visibile a giugno. Alcuni casi si manifestano durante tutto l’anno con forme più sottili o simboliche. Tuttavia, il picco di visibilità durante il Pride Month rende questo periodo particolarmente critico per identificare comportamenti opportunistici.
Rainbow washing in Italia: normative e casi pratici
La situazione del rainbow washing in Italia presenta caratteristiche specifiche legate al contesto culturale e normativo del nostro Paese.
Leggi e regolamenti in Italia che contrastano il rainbow washing
Attualmente in Italia non esistono norme specifiche che contrastino direttamente il pinkwashing. Tuttavia, questa pratica può rientrare nelle pratiche di pubblicità ingannevole disciplinate dal Codice del Consumo. Secondo l’articolo 21, è considerata ingannevole qualsiasi pubblicità che induca in errore i consumatori riguardo alle caratteristiche del prodotto o dell’azienda.
Nel nostro Paese, la sensibilità verso il rainbow washing sta crescendo, ma rimane ancora inferiore rispetto ad altri mercati come quello statunitense o nordeuropeo. Le aziende italiane spesso affrontano meno critiche per le loro campagne Pride rispetto ai brand internazionali, il che può incentivare approcci superficiali.
L’Italia presenta anche forti differenze culturali tra Nord e Sud, e tra aree urbane e rurali, che influenzano sia l’approccio aziendale al marketing inclusivo sia la ricezione da parte dei consumatori. Tuttavia, le nuove generazioni italiane, soprattutto nella fascia 18-35 anni, mostrano maggiore sensibilità verso l’autenticità del supporto aziendale alle cause LGBTQ+.
Grandi imprese vs piccole imprese sul rainbow washing
Esiste una percezione diffusa che le piccole realtà siano più genuine nel loro supporto rispetto alle grandi multinazionali, ma è importante ricordare che l’autenticità dipende sempre dai comportamenti concreti, non dalle dimensioni dell’azienda.
Le PMI italiane che si impegnano autenticamente per l’inclusività spesso lo fanno in modo più discreto ma costante, senza grandi campagne pubblicitarie ma con politiche interne solide. Tuttavia, anche le piccole imprese possono cadere nella trappola del rainbow washing usando hashtag trendy senza nessun impegno concreto.
Come può un’azienda evitare di fare rainbow washing? Ecco le strategie
Se sei un imprenditore o imprenditrice o lavori nel settore marketing di un’azienda, costruire un supporto autentico alla comunità LGBTQ+ inizia dall’interno. Prima di comunicare esternamente, assicurati che la tua azienda sia davvero inclusiva: politiche anti-discriminazione chiare e applicate, benefit equiparati per tutte le tipologie di coppie, formazione sulla diversità per tutti i dipendenti.
Il supporto può manifestarsi in diverse forme, e non necessariamente attraverso donazioni pubbliche. Molte aziende dimostrano inclusività autentica creando ambienti di lavoro sicuri, assumendo persone LGBTQ+ in ruoli di leadership, e comunicando in modo inclusivo durante tutto l’anno. Se scegli di fare donazioni, la trasparenza può essere un valore aggiunto, ma non è un obbligo comunicarlo pubblicamente.
La comunicazione autentica significa evitare il “Pride Month only”. Se hai valori inclusivi, dovrebbero emergere naturalmente nella tua comunicazione durante tutti i 12 mesi. Racconta storie vere dei tuoi dipendenti invece di usare solo stock photo e slogan generici, e prendi posizioni chiare su temi importanti per la comunità LGBTQ+.
Coinvolgi sempre la comunità LGBTQ+ prima di lanciare campagne o iniziative. La loro prospettiva è fondamentale per evitare errori o messaggi che potrebbero risultare offensivi. Assumi e valorizza talenti LGBTQ+ nella tua azienda, non solo come volti delle campagne ma in tutti i ruoli.
Come parlare di Pride e valori LGBTQIA+ senza sembrare opportunisti
La chiave è la coerenza: evita campagne una tantum durante il Pride Month. Coinvolgi persone LGBTQ+ nel processo decisionale, agisci con trasparenza, e comunica il tuo supporto solo se c’è un impegno reale e continuativo dietro.
Prima di lanciare qualsiasi campagna, fatti queste domande: “Le nostre politiche interne sono coerenti con quello che stiamo comunicando?”, “Cosa facciamo concretamente per la comunità LGBTQ+ negli altri 11 mesi dell’anno?” e “Se non comunicassimo pubblicamente questo supporto, la nostra inclusività sarebbe comunque evidente?”
Cosa può fare un consumatore per contrastare il rainbow washing?
Come consumatori, abbiamo un potere enorme per contrastare il rainbow washing e premiare le aziende che si impegnano autenticamente per l’inclusività.
Informarsi è il primo passo. Non fermarti ai post colorati su Instagram: vai sui siti delle aziende, leggi i report sulla diversità, controlla le loro politiche HR. Usa strumenti digitali come siti web specializzati che monitorano l’impegno reale delle aziende verso cause sociali, e segui il loro comportamento tutto l’anno, non solo durante il Pride Month.
Premia economicamente le aziende che dimostrano un impegno costante e concreto. Il tuo portafoglio è il tuo voto più potente. Amplifica i messaggi positivi sui social media quando vedi esempi di inclusività autentica e condividi esperienze personali con brand genuinamente inclusivi.
Quando identifichi casi di rainbow washing, usa i social media strategicamente per segnalarli, ma sempre con dati concreti e argomentazioni costruttive, non solo con attacchi emotivi. Contatta direttamente le aziende per chiedere chiarimenti sulle loro politiche: spesso una pressione educata ma ferma può portare a cambiamenti reali.
Educa la tua rete su come riconoscere il rainbow washing, condividi questa conoscenza (e questo articolo, se ti va) con amici, famiglia e colleghi, e promuovi il pensiero critico riguardo alle campagne aziendali. Il “buycott” (sostenere attivamente brand etici) è spesso più efficace del boicottaggio nel creare cambiamenti positivi nel mercato.
L’approccio di Humans: inclusività autentica tutto l’anno
A Humans, l’inclusività è uno dei nostri valori fondamentali che viviamo e applichiamo ogni singolo giorno dell’anno.
Tra i nostri valori cardine c’è l’uguaglianza: sosteniamo e promuoviamo l’uguaglianza di diritti e opportunità per tutte le persone, indipendentemente dalla loro identità di genere, orientamento sessuale, etnia o provenienza. Questo valore permea ogni aspetto del nostro lavoro, dalle politiche interne alla selezione dei clienti, dalla comunicazione quotidiana alle partnership che scegliamo.
Il nostro nome non è casuale. Humans mette al centro delle proprie attività le persone, promuovendo un approccio umano e relazionale sia nella formazione che nelle interazioni con i corsisti. Questo significa creare ambienti sicuri dove ognun* può essere se stess*, dove la diversità è vista come ricchezza.
Quest’anno, il 2 giugno, due donne del nostro team si sono unite in matrimonio. Quella giornata è stata la dimostrazione vivente che l’amore autentico e l’inclusività esistono naturalmente nei nostri spazi, senza bisogno di campagne marketing. Ha mostrato che Humans è e resterà sempre uno spazio inclusivo.
Non abbiamo mai sentito il bisogno di cambiare il nostro logo solo per il Pride Month. I nostri valori traspaiono naturalmente dalla nostra comunicazione quotidiana, dalle testimonianze dei nostri corsisti, dalle storie vere che raccontiamo. Preferiamo la sostanza all’apparenza, le azioni concrete agli slogan colorati.
Il marketing più potente è quello che nasce da valori veri e da un impegno costante, non da un logo colorato messo per un mese all’anno.
Controversie e domande difficili sul rainbow washing
Ogni volta che si parla di rainbow washing, emergono domande provocatorie che meritano risposte oneste. Ecco le più comuni.
Non è meglio fare rainbow washing che non fare niente?
La risposta è no, non è meglio. Il rainbow washing danneggia attivamente la causa LGBTQ+ perché crea l’illusione di supporto senza produrre cambiamenti reali, permette alle aziende di “lavarsi la coscienza” senza investire risorse concrete e rende più difficile distinguere tra supporto autentico e opportunismo. L’indifferenza onesta è preferibile all’ipocrisia travestita da supporto.
Le persone della comunità LGBTQ+ non dovrebbero essere contente che se ne parli?
Assolutamente sì, la visibilità è importante. Ma c’è una differenza enorme tra visibilità autentica e strumentalizzazione commerciale. La comunità LGBTQ+ ha il diritto di pretendere che il supporto sia sostanziale, non solo simbolico. Accontentarsi di briciole colorate significherebbe svendere decenni di lotte per diritti concreti.
Le critiche al rainbow washing non scoraggiano le aziende dal sostenere la causa?
Al contrario: le critiche intelligenti migliorano la qualità del supporto aziendale. Le aziende che si scoraggiano davanti alle critiche al rainbow washing probabilmente non erano mai state genuine. Quelle autenticamente interessate a supportare la comunità LGBTQ+ usano i feedback per migliorare il loro approccio.
Quindi nessuno può più usare l’arcobaleno senza venire attaccato?
Si tratta coerenza. L’arcobaleno può essere usato da chiunque dimostri un impegno autentico verso l’inclusività. Le “accuse” di rainbow washing arrivano quando c’è una disconnessione evidente tra simboli e azioni.
A Humans crediamo nella responsabilità condivisa: le aziende hanno il dovere di essere autentiche, i consumatori quello di essere informati e critici, e tutti noi abbiamo la responsabilità di costruire una società davvero inclusiva.
Il rainbow washing ci sta insegnando lezioni preziose su come distinguere tra apparenza e sostanza nel marketing. L’epoca in cui bastava un hashtag per sembrare progressisti è finita: i consumatori di oggi sono informati, critici e hanno strumenti potenti per verificare la coerenza tra parole e fatti.
Il fenomeno del “beige washing” di quest’anno ha dimostrato quanto fosse superficiale l’impegno di molte aziende: appena il clima politico è diventato meno favorevole, gli arcobaleni sono scomparsi. Il vero test dell’autenticità non è cosa fai quando è facile, ma come ti comporti quando supportare una causa diventa complesso.
A Humans continueremo a dimostrare che l’inclusività autentica è possibile e rappresenta il modo più efficace per costruire relazioni genuine con clienti, collaboratori e community. L’arcobaleno rappresenta la promessa di un mondo dove ogni persona può brillare della propria luce, 365 giorni l’anno.
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